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Palazzo Doria, immobile di grande valenza storica al n. 10 di via David Chiossone, è la sede di Fondazione Carige, che l’ha restaurato. L’edificio è ubicato in un importante spazio di impronta medievale che da Piazza San Matteo si estende a Nord verso l’antica zona di Piccapietra. Si tratta di un insediamento qualificato dalla presenza delle case dei Doria, che caratterizzò per secoli quell’ambito cittadino, avente come fulcro la chiesa gentilizia di San Matteo.
La dimora si affaccia a sud-est su via Chiossone, già denominata nel Medioevo via dei Garibaldi, inserendosi in un ampio isolato circoscritto dall’attuale vico della Casana, da vico Rovere e da via Luccoli. Il palazzo è inserito a schiera in una successione di unità immobiliari distinte tra cui, a nord, un edificio di Banca Carige, costruito dopo le devastazioni belliche sull’area dove era situata la dimora del doge Agostino Doria tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo.
La sede, sulla base di attestazioni documentarie risalenti al secolo XV si individua come casa di Asanus de Auria quondam Antonii. In una planimetria della prima metà del XVIII secolo l’edificio è nominato come appartenente ai Fornari. L’ avvenuto passaggio è ulteriormente confermato in una Nota de’ Palazzi del 1797 nella quale l’immobile risulta proprietà di Gio. Bernardo De Fornari. Il palazzo che presenta più piani, di cui il secondo appare di ampia e nobile volumetria, è contrassegnato da un prospetto di facciata semplice e sobrio, arricchito da un decoro a quadratura architettonica dipinta a fresco risalente al secolo XIX.
La dimora felicemente recuperata a seguito di un lungo restauro propone un modulo spaziale tradizionale: dal vasto atrio, si apre la scala tardo cinquecentesca di connotazione aulica ed elevata, dal forte e spiccato carattere monumentale (le prime due rampe sono di rifacimento), a rappresentare per l’immobile una rilevante e precipua denotazione di eccellenza nel valore residenziale.
La facies interna dell’edificio attuale possiede una configurazione parzialmente differente da quella originaria, dovuta ai consistenti interventi postbellici.
Il palazzo risulta, nell’assetto odierno, frutto di una ristrutturazione cinque-seicentesca ravvisabile nell’articolazione d’impianto rappresentata dall’atrio d’accesso, dal cavedio e dalla scala, caratterizzata al primo piano da un grandioso atrio voltato di raffinata eleganza. Il cortile interno trovava in origine esito visuale nel giardino di pertinenza, la cui area è oggi occupata dalla sala del consiglio di indirizzo della Fondazione, sovrastata da terrazzo e collegata al vicolo Sottile che, in comunicazione con via Luccoli, costituiva ulteriore accesso al pregevole edificio.
Al primo piano lo spazio superiore dell’atrio loggiato è ritmato e scandito da una successione di colonne marmoree poggianti su plinti a dado e su parapetti a balaustri a doppio fuso a sorreggere ariose arcate e raccordare il cavedio interno con gli ambienti del primo e del secondo piano.
Tale cavedio era interamente connotato da decorazioni ad affresco, risalenti tra la fine del XVI e l’inizio XVII secolo, ora lacunose in alcune parti ma leggibili nella principale impaginazione della parete di fondo. Oltre a riproporre la struttura di loggiato fittizio che riflette con le sue partizioni la caratterizzazione architettonica delle aperture dell’atrio, questi affreschi contribuiscono a determinare un notevole ampliamento dello spazio, nella precisa definizione di vedute di paese, di scene raffiguranti un suggestivo contesto di natura e di giardino illusivo, elemento caratteristico delle pitture murali di molti palazzi genovesi e funzionale a proporre una sostanziale correlazione tra interno ed esterno.
La decorazione del cavedio si struttura su due registri ed è interamente inquadrata da due alte colonne dipinte, ora interrotte dal lucernaio. In corrispondenza del registro inferiore, corre una fascia a bugnato spezzato entro cui si definiscono arcate aperte su resti di uno sfondo di natura: al centro vi è l’immagine incompleta di una fontana. Il secondo registro, a specchio del loggiato a colonne, raffigura uno sfondato di paesaggio alberato aperto su una distesa marina al tramonto.
Al primo piano gli ambienti con volte a padiglione, coevi al vano scala, sono riferibili alla stessa fase di ristrutturazione dell’immobile, due di questi presentano una decorazione cinque – seicentesca.
Nella sala di maggior ampiezza compare al centro un riquadro con Apollo e Dafne, opera di anonime maestranze, incorniciato da una serie di tardi motivi di repertorio a grottesche e, entro le lunette, da paesaggi. La sala a fianco, è qualificata nel soffitto da un decoro che reca nella parte centrale un grande stemma di forma circolare,
bipartito con le armi araldiche De Franchi e Garbarino e inquadrato da una cartouche, entro figurazioni di carattere ornamentale.
I sei ambienti situati al secondo piano rispondono a una rinnovata esigenza abitativa e di qualità di vita: le sale, di considerevole altezza, presentano variegate decorazioni a stucco di pieno gusto settecentesco.
L’operazione di restauro ha contribuito a salvare e a dare nuove finalità di vita ad un edificio monumentale ricco di memorie storiche e di valori artistici.
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